martedì 23 aprile 2013

La nascita di una mamma

La nascita di una mamma, ma più in generale di un genitore, non avviene nel momento stesso in cui nasce il bambino, e nemmeno inizia quando comincia ad aspettarlo nella pancia, oppure quando il figlio è solo nei sogni e comincia a delinearsi in un progetto di vita.
No , la nascita, avviene molti anni prima, al momento della sua stessa nascita; questo non lo dico io ma la letteratura che tratta di questi argomenti.
Ma perchè è così importante sottolineare che tutto inizia dalla nascita del genitore stesso? (ad essere pignoli si potrebbe risalire con le generazioni ai genitori dei genitori).
Perchè un genitore non è tale, senza la sua personale esperienza di accudimento, difficilmente riesce a scindere le due cose. Significa che quello che è stato il comportamento che hanno avuto con lui , getta le basi per l'accudimento futuro del proprio bimbo.
Si impara quello che si vive...se non si è stati protetti, se non ci hanno lasciato vivere i nostri tempi, se non ci hanno dato fiducia, spesso ci troviamo in difficoltà ad insegnare quello che non abbiamo mai imparato.E' una questione di sensazioni e non di testa.
Forse riusciamo razionalmente a capire le cose, ma se non piangiamo il nostro lutto per quello che abbiamo perso, capendo "l'incapacità umana"  di chi ci ha accudito( e risalendo con le generazioni, ai genitori dei genitori), della società dell'epoca, delle situazioni contingenti e sfortunate, difficilmente riusciremo a scrollarci di dosso il passato, rimarrà li ad ingombrare il passaggio dei pensieri, rallentando il flusso di benessere.
L'incapacità umana non è una colpa, è una condizione.
Spesso si confonde la volontà di essere con l'essere stesso.
Non ci rendiamo conto che non c'è solo la parte razionale che ci muove, siamo anche pelle, istinto, corpo, ed è quella la condizione che ci muove per i primi anni, la razionalità cosi come la usiamo da adulti,  ha uno sviluppo successivo; e quello che si imprime nei primi anni, che ci viene insegnato, che viviamo, è quello che ci muoverà nel momento in cui per crisi la razionalità viene a mancare, il controllo sbiadisce.
La razionalità in età adulta poi potrà fare da "mamma" a quella parte di noi che non ha avuto le occasioni per svilupparsi, ma fa parte di un percorso di consapevolezza personale che ognuno può intraprendere .
Quando i nostri figli ci tireranno dentro a situazioni al limite dell'assurdo, saremo chiamati ad appellarci a tutte le risorse a nostra disposizione, e se le risorse di cui ci hanno dotati sono scarse o piene di moralismi, sensi di colpa o quant'altro,ci troveremo bloccati, incapaci di uscire anche da situazioni semplici, incapaci di usare la nostra fantasia, il nostro savoir faire, la nostra determinazione.
Ci chiederemo ad un certo punto, dove siamo finiti .
Ci troveremo ad usare tecniche come punizioni, sculaccioni, sgridate, che da piccoli ci hanno fatto soffrire, ma di cui ora abbiamo rimosso il ricordo.
Invece basterebbe guardarsi dentro per trovare altri modi per fare in modo che ognuno riesca ad essere rispettato per quanto possibile.

Ho seri dubbi sulla efficacia dell'autocontrollo...anche quello c'è fino ad un certo limite.
Molto meglio capire il prima possibile che  è necessaria una ri-educazione del "corpo" più che della mente.
Il corpo impara attraverso l'esperienza e le sensazioni, le emozioni.
Difficile che venga convinto dalla razionalità.
C'è bisogno di capire "a pelle"...la nostra razionalità, la parte adulta, può solo fare in modo che la situazione non sia troppo lesiva.
Può proteggere così come noi proteggiamo nello stesso tempo il nostro bimbo.



I nostri allenatori quindi sono quelli che in quel momento sono molto più vicini di noi all'istinto e alle sensazioni che noi abbiamo perduto.
I nostri figli.
Sono loro che possono aiutare a riconnetterci con la nostra parte irrazionale, farla diventare una parte irrazionale adulta mettendoci di fronte alle evidenze, facendoci capire quanto sono importanti le impellenze di nostro figlio, che non differiscono molto dalle nostre di pochi anni prima, e quanto abbiamo il dovere di prendercene cura, a differenza di quello che hanno insegnato a noi.
Accade quindi che le situazioni in cui ci  sono crisi, e scontri, non sono più solo delle "rogne", ma diventano invece delle "occasioni" da non lasciare cadere nel vuoto,dei momenti in cui interrogarsi (dopo), per capire cosa non ha funzionato, cosa non abbiamo capito che ci serve per diventare una roccia a cui i figli possono aggrapparsi nelle loro tempeste interiori.
Si perchè loro sono spiazzati quanto noi...sono preda delle loro emozioni, e sono vittime quanto noi della situazione.
Ma la nostra cultura punta il dito e definisce che fanno "i capricci", come se ci fosse una volontà razionale in tutto ciò, come se volessero rompere a tutti i costi i maroni e metterci i bastoni fra le ruote.
Dobbiamo allora riconnetterci con noi stessi e capire dove abbiamo bisogno di darci empatia, dove ci sentiamo scavalcati, quali sentimenti di abbandono, del nostro passato vengono toccati...perchè un bambino piccolo ha il potere di smuovere un adulto in questo modo?
Un adulto è roccia accogliente, è una persona che sa reggere gli urti della vita...perchè invece un bambino riesce a scuotere le fondamenta?...semplicemente perchè hanno dei punti traballanti, costruiti magari su inganni o disamore....rocce che si sgretolano facilmente.

Spesso quindi per diventare genitore dobbiamo soffermarci sulle nostre sensazioni del passato, e prima riusciamo a guardarle in faccia e dare la giusta collocazione, prima riusciamo a rispondere in modo adeguato alle esigenze di nostro figlio. A fare in modo che le sue sensazioni, e le sue emozioni possano già avere lo spazio che si meritano.

Bisogna fare attenzione che la risposta ai nostri sentimenti feriti non sia:" se faccio il contrario allora almeno mio figlio non soffrirà come ho sofferto io"....
Questo è stato lo sbaglio degli anni passati...IL risultato era ugualmente disamore, perchè non si vedeva il bimbo che si aveva di fronte, ma solo il bimbo ferito che eravamo stati.
Non può più essere frutto di una linea educativa: permissivi, lassisti, autoritari, autorevoli....non si può ingabbiare in una definizione il lavoro di mediazione continua che un genitore fa.
Una mediazione tra i bisogni dei bimbi, i bisogni personali del genitore, e i bisogni o le aspettative della società.
La fiducia nel rispetto che ognuno ha per sè e per l'altro mi fa dire che tolte le strutture  inutili che ci hanno insegnato, un genitore vorrà vivere bene con suo figlio,vorrà proteggerlo salvaguardando però anche il suo necessario bisogno di esperienza, vorrà trovare una armonia, saprà fermare la situazione potenzialmente dannosa, senza "ferire", perchè ogni ferita agli altri si incide anche in noi...e quando si è molto vicini al proprio essere, diventa molto doloroso, tanto da non voler ripetere l'esperienza.
E' così che il corpo impara....se gli si lascia accesso ai sentimenti.
Culturalmente invece si dice ai bambini :"non piangere", "non essere triste", santocielo, non ha avuto quello che voleva, almeno può essere libero di ascoltare i suoi sentimenti di tristezza? può sentirsi autorizzato ad essere quello che gli viene da essere in quel momento?, o se ne deve vergognare?, è meno "persona" se piange?Non può avere dei sentimenti diversi da quelli che ha avuto neanche se gli prometti un gelatone..
Deve essere "forte"? ma forte lo sarà se le sue basi sono solide...se saprà dare un nome ai suoi sentimenti, e prendersi cura delle sue tristezze, per mettere dei buoni mattoni sul suo basamento, per poter riconoscere le tristezze altrui e rispettarle come sono state rispettate le sue.
Per fare questo è necessario riconnetterci con le nostre tristezze e ritrovare come sono state trattate, cercare di sentire quanto allora era stato giusto o meno (e non pensare a come le giudichiamo oggi) come siamo stati trattati.

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